25 anni, studente magistrale di Comunicazione Pubblica e d’Impresa presso l’Università degli Studi di Milano, Matteo Viganò ha da pochi giorni terminato il suo stage presso la nostra azienda. Non ci siamo lasciati scappare l’occasione di rivolgergli qualche domanda per scoprire come ci vede un giovane che si sta per affacciare al mondo del lavoro. Ne è emerso un ritratto, secondo noi, interessante!
Matteo, sei stato con noi quasi due mesi. Non è molto, ma ti è forse bastato per farti un’idea della Grassi 1925. Se ti chiedessimo di descriverci in una parola?
“Se dovessi scegliere un solo aggettivo credo che la definirei “italiana” per due motivi. In primo luogo perché si tratta di una realtà imprenditoriale veramente storica, presente ed influente sul territorio da quasi un secolo. Secondariamente perché in Grassi rivedo quelle che sono alcune delle migliori qualità degli italiani: creatività, passione, innovazione, senso di responsabilità e professionalità“.
Cosa ti ha colpito di più della nostra azienda?
“Tante cose mi hanno positivamente sorpreso, ma arrivato alla fine del mio tirocinio, l’aspetto che mi ha colpito di più è stato la qualità delle persone. E intendo ai più disparati livelli della scala gerarchica, seppur con sfumature diverse. In Grassi 1925 non solo ho avuto il piacere di stringere piacevoli conoscenze personali; ho persino avuto la fortuna di relazionarmi direttamente con alcuni elementi del top management. Percepire che la propria opinione e le proprie idee vengono prese seriamene in considerazione, pur essendo un semplice stagista, è davvero una bella sensazione. Estremamente gratificante”.
Un confronto tra il mondo del lavoro che l’Università ti ha presentato in questi anni di studio e quello “vero”, di cui hai avuto un assaggio in queste settimane con noi!
“Quando si studia si tende a idealizzare quanto appreso. Mi spiego meglio: è facile strutturare una strategia di marketing o di comunicazione quando si gioca il ruolo sia dell’impresa sia del consumatore, così come è facile parlare di Problem Solving quando problemi e imprevisti sono solo sulla carta e gli attori in gioco si comportano esattamente come ci si aspetta che facciano.
L’Università cerca di preparare noi studenti al mondo del lavoro e, a volte, ci offre i primi veri banchi di prova. In Statale a Milano, ad esempio, abbiamo avuto l’opportunità di misurarci con diversi progetti commissionati da imprese e ONG, ma si tratta pur sempre di un ambiente sicuro.
Mi sono bastate però poche settimane per capire che l’operatività in un’azienda vera è completamente diversa. Ti trovi a relazionarti con un contesto infinitamente più complesso fatto di strutture, di persone e di gerarchie, di tempistiche e di aspettative. Di risultati. È molto più complesso, ma anche decisamente più stimolante!”
Pensi che sia utile fare esperienze come queste?
“Per noi studenti è assolutamente fondamentale, secondo me. Studiare, ma anche leggere e approfondire per il proprio piacere personale è magnifico, ma sono anche convinto che poter mettere alla prova le proprie conoscenze ti posizioni su un altro livello.
Esperienze del genere ti offrono la possibilità di relazionarti direttamente con dei professionisti e di comprendere meglio, più concretamente, le strategie che utilizzano per approcciarsi al problema o al compito cui si stanno dedicando.
Credo però che anche per le aziende possano esserci dei vantaggi. Introdurre studenti all’interno dell’organizzazione significa fare approvvigionamento di nuove menti, di nuovi modi di pensare. Offre un confronto”.
Un consiglio ai tuoi colleghi universitari e uno alle aziende per far sì che l’esperienza dello stage sia veramente utile per entrambe le parti?
“Agli universitari mi sento di darne ben due: il primo è non avere paura di chiedere e fare quante più domande possibili, a chiunque, facendo però attenzione a non diventare invadenti o di peso per chi sta lavorando. Il secondo è dimostrarsi proattivi. Proporsi per svolgere, o per aiutare a svolgere, un certo compito piuttosto che aspettare che venga assegnato.
Per quanto riguarda le aziende, penso che sarebbe utile investire delle risorse per offrire un percorso di formazione concreto. È chiaro che ciò rappresenta un costo, in termini di risorse economiche, temporali ed umane, ma non posso non pensare alle parole di Richard Branson: «forma le persone abbastanza bene perché possano andare via dall’azienda, ma trattale abbastanza bene perché non vogliano farlo».
Credo sia la vera chiave per attrarre talenti e far sì che l’azienda tragga il proprio beneficio dall’inserimento dei tirocinanti, degli stagisti e degli apprendisti”.